LA CORTE DI CASSAZIONE 
                        Terza sezione penale 
 
    Composta da: 
        Vito Di Nicola, Presidente; 
        Angelo Matteo Socci; 
        Antonella Di Stasi; 
        Stefano Corbetta, relatore; 
        Enrico Mengoni. 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto  da  B.
G., nato a ... il ... avverso la sentenza del  3  giugno  2019  della
Corte di appello di Lecce; 
    Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; 
    Udita la relazione svolta dal consigliere Stefano Corbetta; 
    Lette le conclusioni  del  Pubblico  ministero,  in  persona  del
Sostituto Procuratore generale Valentina  Manuali,  che  ha  concluso
chiedendo l'inammissibilita' del ricorso. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. Con  l'impugnata  sentenza,  la  Corte  di  appello  di  Lecce
confermava la decisione resa dal G.u.p.  del  Tribunale  di  Brindisi
all'esito del  giudizio  abbreviato  e  appellata  dall'imputato,  la
quale, ritenuta la continuazione, aveva condannato G. B. alla pena di
un anno e dieci mesi di reclusione e  6.000  euro  di  multa  perche'
ritenuto responsabile dei reati di cui agli articoli  81  del  codice
penale, 9, comma 7, legge n. 376 del 2000 (capo 1)  e  articoli  110,
476, 482 del codice  penale  (capo  2),  a  lui  ascritti  per  avere
commercializzato, mediante consegna a  numerosi  soggetti  praticanti
l'attivita' del culturismo che frequentavano la palestra di  cui  era
titolare - due dei  quali  partecipanti  a  gare  pubbliche  di  body
building -, specialita' medicinali ad azione anabolizzante attraverso
canali non  ufficiali  e  ottenute  mediante  la  predisposizione  di
ricette mediche falsificate. 
    2. Avverso l'indicata sentenza, l'imputato, per  il  tramite  del
difensore di fiducia, propone  ricorso  per  cassazione,  affidato  a
quattro motivi. 
    2.1. Con il primo motivo si deduce la violazione  dell'art.  606,
comma 1, lettera b) del  codice  di  procedura  penale  in  relazione
all'art. 546, comma 1, lettera e) del  codice  di  procedura  penale.
Assume il ricorrente che la Corte territoriale  avrebbe  erroneamente
rigettato il motivo di appello incentrato sulla  sostanziale  carenza
di autonoma valutazione degli elementi di prova, essendosi il  G.u.p.
limitato a una parafrasi dell'ordinanza cautelare, cio' che  integra,
ad avviso del ricorrente, il vizio di difetto di motivazione. 
    2.2. Con il secondo motivo si eccepisce la  violazione  dell'art.
606, comma 1, lettera b) ed e) del  codice  di  procedura  penale  in
relazione all'art. 9, comma 7, legge n.  376  del  2000.  Secondo  il
ricorrente, la  Corte  territoriale  avrebbe  erroneamente  ravvisato
l'ipotesi di commercializzazione di prodotti anabolizzanti sulla base
delle intercettazioni  telefoniche,  che,  da  sole,  non  potrebbero
costituire prova di penale responsabilita', e senza considerare  che:
1) non e' emerso alcun rapporto con il coimputato M.; 2)  i  rapporti
con il P. erano esclusivamente finalizzati all'acquisto di  materiale
lecito, quali proteine, berrette proteiche, ecc.; 3) il B. forniva al
B. solamente integratori alimentari. 
    La  Corte  territoriale,  inoltre,  non   avrebbe   correttamente
valutato le dichiarazioni dell'imputato, il quale ha si'  ammesso  di
aver  detenuto  e  utilizzato  prodotti  anabolizzanti  ma  per   uso
personale; in ogni caso, sarebbe al piu' configurabile la meno  grave
ipotesi di cui al comma 1 dell'art. 9, legge n.  376  del  2000,  non
essendo ravvisabile l'esercizio abituale dell'attivita' illecita. 
    2.3. Con il terzo motivo si censura la violazione dell'art.  606,
comma 1, lettera b) ed e) del codice di procedura penale in relazione
agli articoli 476, 82 del codice penale. Lamenta il ricorrente che la
Corte  territoriale   avrebbe   desunto   la   prova   della   penale
responsabilita' del reato di cui al capo 2) unicamente dal  contenuto
delle dichiarazioni del computato M., le quali  sarebbero  sprovviste
di elementi di riscontro. 
    2.3. Con il quarto motivo si eccepisce  la  violazione  dell'art.
606, comma 1, lettera b) ed e) del  codice  di  procedura  penale  in
relazione agli articoli 62-bis e 133 del codice di procedura  penale.
Sostiene il ricorrente  che  la  Corte  territoriale  avrebbe  negato
l'applicazione delle circostanze attenuanti generiche sulla  base  di
un presupposto errato, ossia che il B. non abbia ammesso  le  proprie
responsabilita',  in  quanto  l'imputato  ha  confessato  di   essere
assuntore di sostanze dopanti,  negando  solamente  di  averne  fatto
commercio e di aver compilato ricette false. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. Il primo motivo e' manifestamente infondato. 
    2. Come correttamente ritenuto dalla Corte d'appello, il richiamo
alla violazione dell'art. 292 del codice  di  procedura  penale,  che
indica  i  requisiti  dell'ordinanza  applicativa   di   una   misura
cautelare, e' del tutto eccentrico rispetto  alla  sentenza,  che  e'
invece disciplinata, quanto a forma e a contenuto, dall'art. 546  del
codice di procedura penale, alla cui stregua  devono  percio'  essere
valutate e dedotte eventuali nullita'. 
    3. Peraltro,  a  conferma  della  non  pertinenza  del  parametro
normativo che si assume violato va evidenziato non  solo  il  diverso
atteggiarsi   del   principio   del   contraddittorio   nella    fase
procedimentale rispetto a quella processuale, anche quando l'imputato
- come nel caso in esame - acceda a un rito alternativo, ma  anche  e
soprattutto il diverso standard probatorio richiesto per  l'emissione
di una misura cautelare personale, che, ai sensi dell'art. 273, comma
1, del codice di procedura penale, esige  la  sussistenza  di  «gravi
indizi  di  colpevolezza»,  e   per   l'affermazione   della   penale
responsabilita', che, come emerge dall'art. 533, comma 1, del  codice
di procedura penale, va provata oltre ogni ragionevole dubbio. 
    4. Il terzo motivo e'  inammissibile  perche'  fattuale,  essendo
diretto a contestare la valutazione delle prove operata  dai  giudici
di merito, e, comunque, perche' generico. 
    5. Il ricorrente non si confronta con la motivazione della  Corte
territoriale,  la  quale   ha   desunto   il   giudizio   di   penale
responsabilita' per il reato di cui al capo  2)  dalle  dichiarazioni
del computato N. M. - il quale ha riferito della richiesta del B., da
lui adempiuta, di  realizzare,  tramite  siti  web,  ricette  mediche
false, compilandole con i dati anagrafici fornitigli dal B., relative
a prescrizioni di farmaci anabolizzanti -, riscontrate  dai  seguenti
elementi:  1)  le  numerose  ricette  acquisite  presso  il  servizio
farmaceutico dell'Asl di ..., relative a farmaci dopanti,  falsamente
sottoscritte  da  una  serie   di   medici,   che,   appunto,   hanno
disconosciuto la firma; 2)  le  false  ricette  rinvenute  presso  le
farmacie di ... e di ..., ricollegabili all'attivita' del B., perche'
presso la sua abitazione fu rinvenuto uno scontrino di acquisto della
prima e perche' sono emersi contatti telefonici tra il  ricorrente  e
il titolare della seconda; 3) il fatto che G. M., socio del  B.,  sia
stato riconosciuto dal farmacista L. A. come colui che aveva  spedito
presso la sua  farmacia  ricette  poi  rivelatisi  false,  contenenti
richieste per l'acquisto di farmaci anabolizzanti; 4) il contenuto di
talune intercettazioni telefoniche, in cui B. e M. parlano di  rifare
le  «fotocopie»  con  indicazione  di  «due  pezzi»  o  dei  nomi  da
correggere con la sostituzione di consonanti (tel.  n.  1776  del  15
luglio 2001, n. 1916 del 22 luglio 2011 e n.  3214  del  5  settembre
2011). 
    Si tratta di una motivazione  adeguata  che,  essendo  immune  da
illogicita' manifeste, supera vaglio di legittimita'. 
    7. In ordine al secondo motivo, si osserva quanto segue. 
    8. L'art. 9, comma 7, legge  n.  376  del  2000  puniva,  con  la
reclusione da due a sei anni e con la multa da 5.164 a  77.468  euro,
«chiunque commercia i farmaci  e  le  sostanze  farmacologicamente  o
biologicamente attive ricompresi nelle  classi  di  cui  all'art.  2,
comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico,
dalle farmacie ospedaliere, dai dispensari aperti al pubblico e dalle
altre strutture che detengono farmaci  direttamente,  destinati  alla
utilizzazione sul paziente». 
    Il comma 1 dell'art. 9  prevedeva  una  fattispecie  meno  grave,
punita con la reclusione da tre mesi a tre anni e  con  la  multa  da
euro 2.582 a euro 51.645,  nei  confronti  di  «chiunque  procura  ad
altri, somministra, assume o favorisce comunque l'utilizzo di farmaci
o di sostanze biologicamente o farmacologicamente attive,  ricompresi
nelle classi previste all'art. 2, comma 1, che non siano giustificati
da condizioni patologiche e siano idonei a modificare  le  condizioni
psicofisiche o biologiche dell'organismo,  al  fine  di  alterare  le
prestazioni  agonistiche  degli  atleti,  ovvero  siano   diretti   a
modificare i risultati dei  controlli  sull'uso  di  tali  farmaci  o
sostanze»; la  fattispecie,  peraltro,  poteva  trovare  applicazione
«salvo che il fatto costituisca piu' grave reato». 
    Ferma restando l'identita' dell'oggetto del reato, ossia  le  cd.
«sostanze, dopanti», le due ipotesi delittuose si differenziavano sia
per la condotta - il commercio in un caso,  il  procurare  ad  altri,
somministrare, assumere o favorire nell'altro -, sia per la presenza,
nella sola ipotesi del comma 1, del  dolo  specifico,  incarnato  nel
«fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    9. L'art. 9, legge n. 376 del 2000 e' stato abrogato dall'art. 7,
comma 1, lettera n),  decreto  legislativo  1°  marzo  2018,  n.  21;
parallelamente, in  applicazione  del  principio  della  «riserva  di
codice», ora enunciato nell'art. 3-bis del codice penale,  l'art.  2,
comma 1, lettera d), decreto legislativo n. 21 del 2018 ha trasferito
nel codice panale le disposizioni gia' contenute  nell'indicato  art.
7: l'art. 586-bis del codice penale, infatti, incrimina l'utilizzo  o
somministrazione di farmaci o di altre sostanze al fine  di  alterare
le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    In particolare, ai fini che qui interessano, il comma 7 dell'art.
586-bis del codice penale commina la reclusione da due a sei  anni  e
la multa da 5.164 a 77.468 euro nei confronti di «chiunque  commercia
i farmaci e le sostanze farmacologicamente  o  biologicamente  attive
ricompresi nelle classi indicate dalla  legge,  che  siano  idonei  a
modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo, al
fine di alterare  le  prestazioni  agonistiche  degli  atleti  ovvero
idonei a modificare  i  risultati  dei  controlli  sull'uso  di  tali
farmaci o sostanze, attraverso canali diversi dalle  farmacie  aperte
al pubblico, dalle farmacie ospedaliere,  dai  dispensari  aperti  al
pubblico e dalle altre strutture che detengono  farmaci  direttamente
destinati alla utilizzazione sul paziente». 
    Il comma 1, invece, «salvo che il fatto  costituisca  piu'  grave
reato», punisce con la reclusione da tre mesi a tre  anni  e  con  la
multa da 2.582 a 51.645 euro «chiunque procura ad altri, somministra,
assume o favorisce comunque  l'utilizzo  di  farmaci  o  di  sostanze
biologicamente o farmacologicamente attive, ricompresi  nelle  classi
previste dalla  legge,  che  non  siano  giustificati  da  condizioni
patologiche e siano idonei a modificare le condizioni psicofisiche  o
biologiche  dell'organismo,  al  fine  di  alterare  le   prestazioni
agonistiche  degli  atleti,  ovvero  siano  diretti  a  modificare  i
risultati dei controlli sull'uso di tali farmaci o sostanze». 
    10. Orbene, per quanto qui rileva, con riferimento alla  condotta
di commercio di sostanze dopanti, si osserva  che  non  vi  e'  piena
coincidenza tra la fattispecie di cui all'abrogato art. 9,  comma  7,
legge n. 376 del 2000 e quella oggetto di incriminazione da parte del
vigente art. 586-bis, comma 7, del codice penale, che,  a  differenza
della precedente figura delittuosa, contempla il dolo  specifico  del
«fine  di  alterare  le  prestazioni   agonistiche   degli   atleti»,
prevedendo, in alternativa (ipotesi che qui non rileva), la  condotta
di commercio di sostanze idonee a modificare i risultati anti-doping,
che vengono assimilati alle sostanze dopanti. 
    11. Non vi e'  dubbio  che  la  previsione,  nella  nuova  figura
delittuosa considerata dal  comma  7  dell'art.  586-bis  del  codice
penale, del dolo specifico  rappresenta  un  filtro  selettivo  della
penale rilevanza della condotta, che e' ora punita solo ove  l'agente
abbia agito con il fine indicato dalla norma, non essendo  ovviamente
richiesto, come ogni reato  a  dolo  specifico,  che  quel  fine  sia
effettivamente  conseguito.  In   altri   termini,   la   fattispecie
contemplata  dall'art.  586-bis,  comma  7,  del  codice  penale  non
incrimina piu' la commercializzazione tout court di sostanze dopanti,
come avveniva in relazione all'abrogato art. 9, comma 7, legge n. 376
del 2000, ma solo quella in cui l'agente si  prefigge  lo  scopo  «di
alterare le prestazioni agonistiche degli atleti»,  indipendentemente
dall'effettivo conseguimento di tale finalita'. 
    Per effetto della previsione dell'indicato dolo specifico, si  e'
percio' realizzata una parziale abolitio criminis, non  essendo  piu'
punito il commercio di «sostanze dopanti»  commesso  in  assenza  del
«fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti»;  in  caso
del genere, nemmeno puo'  trovare  applicazione  la  fattispecie  del
comma 1, la quale pure esige il medesimo dolo specifico. 
    12.  Venendo  al  caso  in  esame,  con  motivazione  esente   da
illogicita' manifeste, sulla base degli esiti sia delle conversazioni
telefoniche  intercettate  (puntualmente  indicate  a  p.  2-3  della
sentenza impugnata), sia  della  perquisizione  domiciliare  (che  ha
consentito  il  rinvenimento,   oltre   che   di   numerosi   farmaci
anabolizzanti, anche di un'agenda su cui erano appuntati nomi e somme
di denaro, a dimostrazione di una rudimentale contabilita'),  nonche'
delle dichiarazioni di S. P., il quale ha  riferito  di  aver  ceduto
prodotti  anabolizzanti  al  B.,  che  costui  utilizzava  anche  per
rifornire gli atleti da  lui  preparati,  la  Corte  territoriale  ha
ravvisato un fatto di commercio di sostanze dopanti, facendo corretta
applicazione del principio  secondo  cui  la  condotta  di  commercio
clandestino di sostanze c.d. anabolizzanti deve avere i caratteri  di
un'attivita' continuativa, supportata  da  una  elementare  struttura
organizzativa (sez. 6, n. 17322 del 20 febbraio  2003,  Frisinghelli,
Rv. 224957). 
    13. Nondimeno, avvedendosi dell'intervenuta modifica legislativa,
la Corte territoriale non ha verificato, in  capo  al  B.,  anche  la
sussistenza del dolo specifico, consistente nel «fine di alterare  le
prestazioni  agonistiche  degli  atleti»,   ora   contemplato   dalla
fattispecie di cui all'art. 586-bis, comma 7, del codice penale, che,
in  quanto  norma  piu'  favorevole,  proprio  perche'  restringe  il
perimetro della punibilita', trova applicazione retroattiva. 
    Dalla sentenza impugnata  e  da  quella  di  primo  grado  emerge
peraltro il difetto di tale dolo specifico, in quanto, come si desume
dalla decisione emessa dal G.u.p. (p. 80), il B. «oltre a predisporre
le  diete  ed  i programmi  di  allenamento  per  i  body   builders,
consigliava agli atleti l'assunzione di sostanze  anabolizzanti,  che
egli  stesso  provvedeva  a  consegnare,  dopo  averla  a  sua  volta
recuperate  dai  sui  fornitori  (...)  o  dopo  essersele  procurate
presentando  false  ricette  mediche  (...).  Trattasi  di  condotta,
peraltro, che non richiede il dolo specifico, come  si  desume  dalla
lettera della legge (...)». 
    In applicazione della nuova fattispecie incriminatrice, in quanto
piu' favorevole, l'imputato dovrebbe percio' essere  mandato  assolto
per difetto dell'elemento soggettivo. 
    14. Ritiene  tuttavia  il  Collegio  di  sollevare  questione  di
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento  all'art.   76   della
Costituzione, dell'art. 586-bis, comma 7,  del  codice  penale,  come
introdotto dall'art. 2, comma 1, lettera d), decreto  legislativo  1°
marzo 2018, n. 21, nella parte in cui - sostituendo l'art.  9,  comma
7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, abrogato  dall'art.  7,  comma  1,
lettera n) del medesimo decreto legislativo n. 21 del 2018 -  prevede
il «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti». 
    15. In via preliminare,  si  osserva  che  la  questione  risulta
ammissibile. 
    15.1. In linea di principio, sono inammissibili le  questioni  di
legittimita' costituzionale che concernano disposizioni abrogative di
una  previgente  incriminazione,   e   che   mirino   al   ripristino
nell'ordinamento  della  norma  incriminatrice   abrogata,   a   cio'
ostandovi il  principio  consacrato  nell'art.  25,  comma  2,  della
Costituzione,  che  riserva  al  solo  legislatore   la   definizione
dell'area di cio' che e' penalmente rilevante. 
    Questa regola  pero'  non  e'  assoluta  perche'  patisce  alcune
eccezioni. 
    Tra queste, ai fini che qui interessano, va  segnalata  l'ipotesi
in cui sia censurato lo scorretto esercizio del potere legislativo da
parte del Governo, che abbia abrogato  mediante  decreto  legislativo
una disposizione penale, senza a cio' essere autorizzato dalla  legge
delega;  in  tal  caso,  come  recentemente  affermato  dalla   Corte
costituzionale, «qualora la disposizione dichiarata  incostituzionale
sia una disposizione che semplicemente abrogava  una  incriminatrice,
preesistente (...) la dichiarazione di illegittimita'  costituzionale
della prima non potra' che comportare il ripristino della seconda, in
effetti mai (validamente) abrogata» (sentenza n. 37 del 2019). 
    Piu' in particolare, come ribadito in una piu' recente  decisione
(sentenza  n.  189  del  2019),  sono  ammissibili  le  questioni  di
legittimita' costituzionale che censurano una disposizione abrogativa
contenuta in un decreto legislativo, e la contestuale introduzione di
una nuova disposizione incriminatrice, la  cui  area  applicativa  si
assume non estendersi - in asserito  contrasto  con  il  criterio  di
delega  -  a  tutte  le  ipotesi  gia'   coperte   dalla   previgente
incriminazione;  con  conseguente  illegittimo  effetto  modificativo
delle scelte di penalizzazione compiute dal Parlamento. 
    15.2. Alla luce delle considerazioni che precedono, la  questione
deve ritenersi percio' ammissibile, in quanto oggetto di censura  e',
appunto, lo scorretto esercizio del potere legislativo da  parte  del
Governo, che ha parzialmente abrogato  mediante  decreto  legislativo
una disposizione penale, senza a cio' essere autorizzato dalla  legge
delega, come si avra' modo di esporre. 
    16. La questione appare anche rilevante. 
    Come si e' anticipato, in applicazione della vigente  (in  quanto
piu' favorevole) disposizione di cui all'art. 586-bis, comma  7,  del
codice penale, l'imputato dovrebbe essere  assolto  per  difetto  del
dolo specifico; per contro, il motivo dovrebbe essere  respinto,  ove
si applicasse la fattispecie contemplata dall'abrogato art. 9,  comma
7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, che, come detto, non prevedeva  il
dolo specifico. 
    17. A parere del Collegio, la questione appare non manifestamente
infondata, in quanto la parziale abolitio criminis della  fattispecie
oggetto di incriminazione da parte dell'abrogato  art.  9,  comma  7,
legge 14 dicembre 2000, n. 376, nei termini  dinanzi  precisati,  non
trova riscontro nella delega conferita al Governo dall'art. 1,  comma
85, lettera q), legge 23 giugno 2017, n. 103. 
    Invero, tale  disposizione  autorizzava  l'attuazione,  sia  pure
tendenziale, del principio della  riserva  di  codice  nella  materia
penale, al fine di una  migliore  conoscenza  dei  precetti  e  delle
sanzioni e quindi dell'effettivita' della funzione rieducativa  della
pena,  presupposto  indispensabile   perche'   l'intero   ordinamento
penitenziario sia pienamente  conforme  ai  principi  costituzionali,
attraverso l'inserimento nel codice penale di  tutte  le  fattispecie
criminose previste da disposizioni di legge in vigore che  abbiano  a
diretto oggetto  di  tutela  beni  di  rilevanza  costituzionale,  in
particolare i valori della persona umana, e tra questi  il  principio
di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di  ogni
forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e  i
beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica
e dell'ordine pubblico, della  salubrita'  e  integrita'  ambientale,
dell'integrita' del territorio, della correttezza e  trasparenza  del
sistema economico di mercato». 
    Il tenore della delega appare chiaro: il Governo era  autorizzato
semplicemente  a  trasferire  all'interno  del  codice   penale,   in
attuazione del principio della cd. «riserva di codice», talune figure
criminose gia' contemplate da disposizioni di legge, tra cui, ai fini
che qui rilevano, quelle ad oggetto la «tutela della salute». 
    E difatti all'abrogazione dell'art. 9, legge n. 376 del  2000  ha
fatto seguito  l'introduzione,  nel  codice  penale,  dell'art.  586,
fattispecie che, appunto, e' inserita nel capo I,  titolo  II,  libro
II,  che  raggruppa  i  «delitti  conto  la  vita   e   l'incolumita'
individuale». 
    Che  l'intenzione  del  legislatore  fosse  quella  di  una  mera
traslazione della fattispecie di cui all'art. 9,  legge  n.  376  del
2000 all'interno del codice penale e' confermata  sia  dall'identita'
della  pena  comminata,  sia  dal  disposto   dell'art.   8   decreto
legislativo n. 21 del 2018, il quale stabilisce che  «dalla  data  di
entrata in vigore del presente decreto, i richiami alle  disposizioni
abrogate dall'art. 7, ovunque presenti, si  intendono  riferiti  alle
corrispondenti disposizioni del codice  penale  come  indicato  dalla
tabella A allegata al presente decreto»;  nell'indicata  tabella,  il
riferimento  all'art.  9,  legge  14  dicembre  2000,  n.  376  trova
corrispondenza  nell'art.  586-bis  del  codice  penale,  a  conferma
l'assenza di qualsivoglia intento abrogativo della  previgente  norma
incriminatrice. 
    18. Nondimeno, come si e' piu' volte evidenziato, non vi e' piena
corrispondenza tra la fattispecie di cui all'abrogato art.  9,  comma
7,  legge  n.  376  del  2000  e  quella,  ad  essa   corrispondente,
contemplata dal vigente art. 586-bis, comma 7, del codice penale,  la
quale prevede, in aggiunta, il dolo specifico del «fine  di  alterare
le prestazioni  agonistiche  degli  atleti»,  senza  che  cio'  trovi
legittimazione nella legge delega. 
    In altri termini, reputa il Collegio che il Governo  abbia  fatto
un uso scorretto  della  delega  conferita  dall'art.  1,  comma  85,
lettera q), legge n. 103 del 2017,  in  quanto,  nel  trasferire  nel
codice penale, rubricato al comma  7  dell'art.  586-bis,  la  figura
delittuosa gia' oggetto di incriminazione da parte dell'art. 9, comma
7, legge n. 376 del 2000, ha operato, mediante  l'aggiunta  del  dolo
specifico, una parziale abolitio criminis. 
    19. Del resto, a parere de Collegio, l'indicata abolitio criminis
risulta anche in contrasto con la ratio della legge delega. 
    E' di intuitiva evidenza, infatti, che il bene salute, oggetto di
tutela da parte dell'art. 586-bis del  codice  penale,  e'  messo  in
pericolo,  dalla  mera  assunzione  di  sostanze  «dopanti»:  e  cio'
indipendentemente dal «fine di alterare le  competizioni  agonistiche
degli atleti». In altri termini, la norma censurata rende  lecito  il
commercio di sostanze dopanti destinato alla cerchia  degli  sportivi
che non gareggino in competizioni agonistiche, la cui salute verrebbe
comunque posta  in  pericolo,  senza  che  tale  scelta  di  politica
criminale, gravida di conseguenze in relazione alla tutela  del  bene
ch si vuole proteggere - la salute pubblica,  appunto  -,  trovi  una
fonte di legittimazione nella legge delega conferita al  Governo,  la
quale   risultava   esclusivamente   finalizzata   all'esercizio   di
un'attivita' materiale di mera  traslazione  all'interno  del  codice
penale delle  fattispecie  di  reato  gia'  contemplate  da  norme  e
extracodicistiche. 
    Viceversa, al momento della sua attuazione, il  potere  esecutivo
e' intervenuto sulla portata del precetto di cui all'art. 9; comma 7,
legge n. 376 del 2000 limitandone l'ambito di applicazione, sia  pure
con riferimento al solo elemento soggettivo, cosi'  determinando  una
parziale abolitio criminis delle condotte di commercio clandestino di
sostanze  «dopanti»  gia'  sorrette  da  dolo,  ma  non   finalizzate
all'alterazione delle prestazioni agonistiche degli atleti. 
    Tanto  si  e'  verificato  malgrado  l'assenza  di   qualsivoglia
principio e criterio direttivo espressamente contenuto nella legge di
delega, cio' che ha peraltro compromesso la sua dichiarata  finalita'
di contribuire  alla  tutela  della  salute  umana,  assicurando  una
migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni  penali  diretti  a
preservarla. 
    20. La soluzione della questione di  legittimita'  costituzionale
e'  pregiudiziale  rispetto  allo  scrutinio  del  quarto  motivo  di
ricorso. 
    21. Per le ragioni sin qui esposte, il Collegio, ai sensi  l'art.
23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ritiene  di  sollevare  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 586-bis, comma  7,  del  codice
penale,  introdotto  dall'art.  2,  comma  1,  lettera  d),   decreto
legislativo 1° marzo 2018, n. 21, nella parte in  cui  -  sostituendo
l'art. 9, comma 7, legge 14 dicembre 2000, n. 376, abrogato dall'art.
7, comma 1, lettera n) del medesimo decreto  legislativo  n.  21  del
2018 - prevede, il «fine di alterare le prestazioni agonistiche degli
atleti». 
    Il  processo  deve  essere  per  l'effetto  sospeso  e  gli  atti
trasmessi alla Corte costituzionale.